A BORGOMEDUNA SI RIACCENDE IL FALO’ DELL’EPIFANIA
Ripresa di una tradizione in via Mantegna. (di Benvenuto Sist)
“La befana vien di notte con le scarpe tute rotte , col vestito da furlana, la befana è la mamma”.
Con questa filastrocca veniva svelata ai bambini della bassa pordenonese l’origine dei sobri e misurati regali che fino ad allora avevano trovato nella calza dell’Epifania : semplici leccornie come caramelle, mandorlato e “bagigi” (arachidi) oppure cose utili come un paio di guanti di lana.
Così, con rude ironia, i bambini della società agricola del secolo scorso venivano aiutati a
crescere .
La delusione che provavano, anche se dissimulata, era forte. In un colpo solo vedevano dissolversi un prodigio a cui avevano dato credito e percepivano chiaramente che con la scusa che erano ormai diventati “grandi”, quei modesti regali non sarebbero stati più garantiti.
Se epifania significa “ rivelazione” questa era sicuramente la prima del loro processo di crescita. Altre sarebbero seguite: da come nascevano i vitellini , a come si trasformava il corpo fino alla visita militare per i maschi ed al primo moroso per le ragazze .
Pan e Vin Brusadin (foto concessa da Benvenuto Sist) |
Il freddo nella buia e gelata campagna pungeva per davvero. Ci si difendeva con scarpe grosse , abiti pesanti , copricapo e sciarpa tanto da diventare fagotti irriconoscibili. Per identificare una persona si doveva guardarla negli occhi che era l’unica parte del corpo rimasta scoperta .
A quei tempi non era difficile. Oggi sarebbe impossibile per il semplice fatto che non siamo più abituati ad incrociare gli sguardi nemmeno tra vicini .
Prima di essere acceso il falò veniva benedetto da un anziano che allora personificava ancora esperienza e saggezza. L’acqua santa era quella prelevata,alla fine della funzione del pomeriggio, dal “mastello” di legno bianco posto al centro della chiesa.
Oltre all’acqua il sacerdote aveva benedetto anche le mele che, conservate tra le lenzuola pregiate del corredo, sarebbero state consumate in famiglia il giorno di San Biagio per tenere lontane le malattie della gola .
Quando finalmente i bambini appiccavano il fuoco con le torce fatte con le canne del mais, l’anziano intonava le litanie. La gente rispondeva in coro alle invocazioni ma nello stesso tempo teneva d’occhio la “vecia”. Fatta rivestendo di frasche due pali incrociati in cima al falò, doveva incenerirsi completamente per essere di buon auspicio. Con uguale attenzione osservava l’orientamento del fumo che nel cielo sereno, disegnando una scia luminosa, ragguagliava sulle tendenze dell’anno appena iniziato .
Quando il falò aveva finito di bruciare, lasciava un bellissimo e rovente braciere da sollecitare con lunghe pertiche per sollevare in aria sciami di faville luccicanti da accompagnare con filastrocche ben auguranti.
Nel falò, dunque, sacro e profano si incontravano, fede e tradizione si confondevano .
Si sa, da quando esiste l’uomo, le fiamme hanno una funzione purificatrice. Così sul falò si incenerivano tutte le magagne e le cattiverie dell’anno trascorso durante il quale il bene e il male si erano confrontati nell’eterna lotta per il possesso dell’umanità. Ne era un simbolo la stessa “vecia” che bruciando completamente in cima al falò metteva a nudo lo scheletro fatto a croce.
L’aspetto stesso della befana era a mezzo tra la buona vecchina e la strega : i piccoli sapevano infatti che se avessero obbedito ai genitori portava i dolci se invece facevano i capricci avrebbe portato il carbone . Per i bambini d’oggi invece , hanno inventato il carbone di zucchero.
Pan e Vin 1986 (foto concesse da Benvenuto Sist) |
Da tempo i falò sono diventati “pubblici” nel senso che sono organizzati da associazioni varie che provano a mantenere viva la tradizione. Negli ultimi anni le leggi sanitarie e la pressione degli ecologisti, ne stanno mettendo in forse l’esistenza per problemi legati all’emissione nell’aria di polveri sottili. La conseguenza è che il falò , che giustamente non deve essere una occasione per bruciare abusivamente porcherie inquinanti, viene ridotto ad un fiacco “fuocherello” le cui braci devono essere spente velocemente .
Il depotenziamento della tradizione è evidente : niente fumo, niente braci da far svolazzare , niente auspici ne propositi per l’anno nuovo. Insomma una situazione di indeterminatezza che nel tempo è stata colmata dagli oroscopi di maghi , astrologi e indovini vari che hanno “strologato” nei media e sulle riviste .
In questo modo anche la befana, privata del suo contesto tradizionale, ha subito un processo di “laicizzazione” che l’ha portata ormai a distribuire dolcetti senza più chiedere ai bambini se sono stati buoni .
A Borgomeduna la tradizione del falò era stata conservata, fino a qualche anno fa, dalla Circoscrizione, abolita la quale, il falò ne ha seguito la sorte.
Invece in quest’anno 2013, grazie all’Associazione Rugby Pordenone e alla sezione Avis di Borgomeduna, in concorso con la Circoscrizione Sud e il progetto Genius Loci, il falò si riaccende la sera del 5 gennaio presso l’ accogliente Club House della società“Il nido della civetta” in via Mantegna in fondo ai campi sportivi. Per chi vuole prolungare la festa il “Deposito Giordani” ha preparato una serata gratuita di ballo aperta a tutti .
Gli anziani di Borgocampagna potrebbero dire che il falò “ritorna a casa”. Infatti il luogo è la vecchia campagna Galvani dove c’era la grande casa dei Boer nella cui cucina, finiti i riti del fuoco, si radunava il vicinato per ballare fino a ora tarda. Non c’erano ne giochi ne cotillon, ma pinza, vin brulé e tanta allegria.
Sono legami con la tradizione che è piacevole ricordare.
Come quel “Nido della Civetta” che evoca l’ animale notturno frequentatore come la befana di notti incantate, nelle quali come raccontano le fiabe, gioia e batticuore possono magicamente ingarbugliarsi.
Benvenuto Sist
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