Non si appartiene a un luogo solo perché vi si è nati, ma perché si è dato un contributo alla sua vita sociale, soprattutto se si proviene da altri paesi, poco importa se del circondario o da molto più lontano. E’ la vicenda di molti “borgomedunesi” arrivati in questo quartiere ragazzini insieme ai propri genitori che cercavano di stare più vicini alle occasioni di lavoro che Pordenone continuava ad offrire grazie ai suoi cotonifici e alle sue officine. A Borgomeduna hanno trovato una nuova casa ed hanno potuto costruire la propria realtà di vita. Tra questi c’era, com’è difficile dire c’era, anche Giacomo Santarossa arrivato a Borgomeduna all’età di cinque anni da Sacile. Tra le masserizie caricate su un carro trainato da due cavalli, la sua famiglia aveva messo anche una impastatrice che sarebbe servita per riattivare il panificio Cum in via San Giuliano. Da quel lontano 1945, fino al 2011 anno in cui Giacomo ci ha lasciati, ha sempre vissuto in piazzetta diventandone non solo un attivo commerciante ma anche un testimone discreto e riservato degli avvenimenti. Gran parte di quello che si è scritto su Borgomeduna lo si deve ai suoi ricordi che spesso è stato chiamato a raccontare ai bambini della scuola elementare “De Amicis” in via Udine: racconti di vita quotidiana per tramandare la giudiziosa sobrietà di quei tempi, senza pontificare sui comportamenti delle singole persone.
Nel muro verso Udine della sua casa, la riconoscibile e adagiata casa “Pacchiega” , aveva fatto restaurate la scritta “Pordenone Borgo Meduna” che indicava l’ingresso sud est alla città .
Così nella sua attività di consigliere di circoscrizione ha sempre sostenuto l’utilità commerciale e sociale della piazzetta e di Borgomeduna, cercando di evitare soluzioni che la riducessero a isolata zona di transito, dove non fosse più possibile sostare: per lui era stata e doveva rimanere quello che altri hanno poi inteso e chiamato , “un centro di gravità permanente”.
Benvenuto Sist
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