Le cronache dicono che negli anni venti, una bicicletta costava l’equivalente di quasi due anni di salario: per molto tempo dunque non poté essere a disposizione di molti. La sua diffusione fu necessariamente graduale in rapporto alle disponibilità economiche e alle necessità degli acquirenti.
Utile anche in momenti difficili come l’ultima guerra, consentì a chi abitava in città di girare le campagne per acquistare cibo dai contadini o rincorrere più velocemente le voci del mercato nero. Anche la fruttivendola che aveva il suo negozio in piazzetta fin dai primi anni venti, ne aveva usata una “da omo” per approvvigionarsi nei dintorni e non solo, tanto che da lei si potevano trovare anche i pregiati “fighi mori” di Caneva.
Archiviata la guerra si ricominciò a cantare con ritrovata vivacità “Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor? Le gambe snelle, tornite e belle, m'hanno già messo la passione dentro al cuor!”
Via Udine Borgomeduna |
Era il 1951 anno del film di successo “Bellezze in bicicletta”, che agitò i sonni di molti parroci preoccupati della pubblica moralità. Badando alla praticità e più sicure del loro agire che non dei sermoni domenicali, le donne del tempo continuarono tranquillamente ad inforcare la loro bicicletta “da femena” per raggiungere la piazzetta dove fare le compere: con una robusta sporta di paglia intrecciata appesa al manubrio “le andea in botega” dove barattavano le uova con i generi alimentari.
D’altra parte anche i cappellani di San Marco ne usavano una uguale, impediti com’erano dalle lunga tonaca nera: andavano a dir Messa nella nuova cappella in fondo a via Meduna dove c’erano “le busate”. Quando portavano il “saturno”, un copricapo rotondo e rigido che sembrava un disco volante, pedalavano con la testa leggermente abbassata: non era per modestia, serviva solo a non farlo volar via.
La bicicletta era anche un vero e proprio mezzo di lavoro: la usava tutti i giorni il postino con la borsa di cuoio , gonfia di posta, agganciata sul davanti . La pescivendola la usava per andare a vendere il “pes” conservato in cassette di legno e coperto di ghiaccio tritato.
Il panettiere caricava la cesta del pane su una speciale, senza “ruota libera” che lo costringeva a girare continuamente le gambe anche per rallentare o frenare.
Pure la bicicletta dell’arrotino che abitava vicino alla piazzetta, era speciale : fissata sul cavalletto permetteva al “guetta” , dritto in sella, di pedalare e affilare. Tra una pedalata e l’altra si dedicava a raddrizzare “le coste” agli ombrelli.
Così, per la legge del mercato , attorno alla piazzetta c’erano i negozi di chi le biciclette le riparava e di chi le vendeva o noleggiava.
Negli anni cinquanta arrivò il “boom economico” e con esso gli scooter come la “Vespa” e le auto come la Fiat “Seicento”. Presso le ragazze l’indice di gradimento dei ragazzi in bicicletta scese verticalmente, quasi come quello del baccalà: da tempo infatti le ragazze avevano incominciato a respingere i corteggiatori che “odoravano di bacalà”, cibo ormai confinato ai livelli bassi della scala alimentare e sociale.
Tramontavano così i tempi del film “Ladri di biciclette” e si affermavano definitivamente quelli di “Vacanze romane” in “Vespa”.
Benvenuto Sist