“ Do ciacole in piassa ”.
La gente dei borghi Campagna e Meduna non diceva “andemo in centro”, ma “andemo a Pordenon” . Non così in San Giuliano dove si sentivano più “cittadini”.
Le distanze venivano così certificate e con esse la voglia di distinguersi.
La piazzetta di Borgomeduna era il centro d’incontro di realtà vicine ma che non si sentivano uguali. Un “centro di gravità” di un piccolo e variegato microcosmo di affari e “ciacole” che ci sono state tramandate grazie alla capacità che da sempre hanno le comunità di uomini di saper sorridere dei propri difetti, errori e disavventure, proprio per esorcizzarle .
Così, si raccontava di quella volta, durante l’ultima guerra mondiale, quando alcune delle mucche requisite dai tedeschi ed avviate verso Udine svicolarono improvvisamente all’altezza di Borgomeduna correndo imbizzarrite giù per San Giuliano, svanendo nel nulla. I tedeschi inviperiti minacciarono di deportare in Germania i militi della “Territoriale”, se non le avessero ritrovate. Alla richiesta dei spaventati militari italiani la gente consegnò le mucche e qualcuno in piazzetta diffuse la “ciacola” di averli visti, nelle case del Tinti, trascinarne una giù dalle scale del piano superiore dove solitamente erano ubicate le camere da letto dei contadini.
Negli anni del dopo guerra la battaglia ideologico-politica infuriava . Nel 1951 il giornale diocesano “Il Popolo” titolò “ la vittoria democristiana al Comune ha sollevato gli animi da un incubo”.
L’ incubo proveniva dai seggi di Torre ma soprattutto da quelli di Borgomeduna che per le elezioni comunali avevano registrato una netta maggioranza dei partiti di sinistra, comunisti in testa: ci pensarono poi le sezioni del centro, con la loro valanga di voti di centro, democristiani avanti a tutti, a placare l’angoscia .
Per questo, sussurravano i maligni, l’anno dopo la parrocchia di San Marco costruì una sala cappella per i borgomedunesi, a metà strada tra Borgo Campagna e Borgo Meduna .
Per raggiungerla dalla piazzetta ci si doveva infilare per via Meduna che era ancora una strada di campo,
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"ieri".....per gentile concessione di Benvenuto Sist |
sterrata e piena di buche, le busate, che d’inverno diventavano straordinarie piste di pattinaggio per i ragazzi mentre, con le piogge, insidiose pozzanghere in mezzo al fango. Alcuni vecchi fedeli continuarono però a frequentare le funzioni in San Marco. Interrogati in proposito dal parroco si discolparono così: “sior pievan, almanco la domenega no’l ne fassi pestar fango”.
La morale pubblica continuava a rimanere rigida e le incaute ragazze che rimanevano in cinta si potevano sposare in chiesa solo all’alba, senza suono di campane e con il divieto di indossare l’abito bianco sogno di ogni sposa.
Va da se che le frequentazioni tra i giovani erano sottoposte a severe raccomandazioni e rigide condizioni. Ciononostante, alla fine degli anni cinquanta, dei timorati ma temerari giovani di azione cattolica organizzarono nell’atrio d’ingresso delle officine Moro di via Udine una festa di fine anno che, mescolando ragazzi e ragazze nel ballo, provocò le ire del Monsignore di San Marco. Da quella volta i miscredenti del bar al “volt de Querini”, quando lo vedevano passare a cavalcioni della sua moto, mormoravano: “atenti, ariva el “serifo” .
Si sa, spettegolare sui vizi privati di chi è accreditato di un ruolo “altolocato”, è sempre stato il compito primario delle “ciacole”. Se poi la “ciacola”, come la calunnia, è un venticello, è convinzione antica che le donne abbiano capaci polmoni: basta raccomandare loro “no’ sta dirlo a nissun” . Di raccomandazione in raccomandazione, ai lavatoi si era spettegolato non poco sui “vizi” dei “treremagi”, benestanti e maturi borgomedunesi che, oltre al nome, avevano in comune la fama di impenitenti conquistatori di insospettabili signore cittadine.
Alla fine degli anni cinquanta nacque finalmente la parrocchia di Borgomeduna significativamente intitolata a San Giuseppe lavoratore.
Il primo matrimonio celebrato, manco a dirlo, fu quello di un giovane attivista della sezione locale del partito comunista : per celebrarlo l’altrettanto giovane parroco dovette chiedere la dispensa al Vescovo, tanto importante era considerato allora il matrimonio.
Probabilmente non era più così indiscutibile negli anni settanta se un giovane sposo che aspettava impaziente l’arrivo della sposa davanti alla nuova chiesa, si sentì gridare dal furgoncino di “brusapan”: “Dai, Gigi, l’è dura i primi tempi, dopo l’è sempre peso”.
Negli anni sessanta anche il lavatoio in piazzetta , come la strada delle “busate” , venne asfaltato e le “ciacole” perdettero il loro miglior punto di dilatamento e diffusione.
I tempi come sempre cambiavano, ma da un certo punto in poi lo fecero con una celerità mai vista prima e la gente per rincorrerli diventava sempre più agitata e insofferente: alla fine non rimaneva nemmeno un briciolo di tempo per scambiarsi “do ciacole”.
Allora un idraulico, un po’ inventore e un po’ filosofo, metteva in guardia i suoi lamentosi e insistenti clienti che lo rincorrevano fino al tavolo da gioco del bar della piazzetta per
sollecitargli un rapido intervento :
“se continuate così vi rovinerete la salute come quel becchino che, angosciato dai continui decessi, piangeva ad ogni funerale”. E sorridendo sotto i folti baffi neri, continuava tranquillamente
la sua partita a carte.
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"Via Udine oggi" foto by Sergio Bagaggia |
Per gentile concessione di Benvenuto Sist, che ringraziamo davvero.